Nel precedente approfondimento abbiamo fatto una panoramica generale degli effetti negativi del Covid-19 sulle imprese italiane e di come questi abbiano impattato sulla continuità aziendale.
Sempre in tema di difficoltà causate dalla pandemia in capo ai redattori dei bilanci, vogliamo oggi e poi in successivi articoli, focalizzarci sui problemi relativi alla valutazione delle poste di bilancio.
In questo primo approfondimento, affrontiamo le problematiche di valutazione legate alle poste dell’attivo immobilizzato. Da un lato analizzeremo la questione dell’eventuale svalutazione delle immobilizzazioni e dall’altro invece la possibilità introdotta dal legislatore di rivalutare i beni d’impresa.
Valutazione delle immobilizzazioni
Come previsto dall’art.2426 del Codice civile, un’immobilizzazione viene valutata al costo di acquisto o di produzione, che viene ammortizzato sistematicamente in ogni esercizio in base alla loro residua possibilità di utilizzo.
Alla fine di ogni esercizio inoltre, le imprese dovranno valutare se esistano dei possibili indicatori che mettano in evidenza una perdita di valore durevole dell’immobilizzazione. Tra gli indicatori che un’impresa dovrà considerare, all’interno dell’OIC 9, emergono:
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la diminuzione significativa del valore di mercato dell’attività;
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variazioni con effetto negativo dell’ambiente di mercato, economico, tecnologico o normativo in cui l’impresa opera;
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variazione dei tassi di interesse di mercato o di rendimento degli investimenti;
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l’evidente obsolescenza;
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le previsioni di andamento negativo della società nel prossimo futuro, nonché possibilità di dismettere l’attività o il settore operativo.
Se questa condizione è presente infatti, l’impresa, in base anche a quanto previsto dall’OIC 16, dovrà stimare il valore recuperabile dell’immobilizzazione. Dovrà essere considerato il maggior valore tra “fair value” [= il prezzo corrente di mercato al quale un’attività può essere scambiata tra controparti indipendenti] e “valore di mercato” [= il valore attuale dei flussi di cassa attesi da una certa attività o unità generatrice di cassa]. L’immobilizzazione andrà successivamente svalutata nel caso in cui tale valore sia durevolmente inferiore al valore netto contabile [= costo storico – fondo ammortamento]. La differenza dovrà essere imputata a conto economico come perdita durevole di valore.
Il problema:
Il quesito è stato chiaro fin dall’inizio della pandemia. Come considerare gli effetti del Covid nella valutazione delle immobilizzazioni?
Bilanci 2019:
Per i bilanci 2019 l’OIC ha fornito un chiarimento, affermando che gli effetti della pandemia non sarebbero dovuti rientrare tra gli indicatori di perdita di valore sopra citati. Inoltre, sempre per i bilanci 2019, gli effetti del Covid non dovevano essere considerati nei piani aziendali realizzati anche ai fini della determinazione del valore d’uso di un’immobilizzazione, che considera i flussi di cassa attesi.
Bilanci 2020:
Per quanto riguarda i bilanci 2020 purtroppo, la situazione è ben diversa. Dopo un intero anno caratterizzato dalla pandemia infatti, non è possibile pensare di non tenere conto degli effetti del Covid nelle stime e nelle valutazioni effettuate dalle imprese.
Molteplici sono gli spetti da considerare nella determinazione del valore d’uso e del fair value degli assets, per determinare poi il loro valore recuperabile.
Nella determinazione del valore d’uso e quindi dei flussi di cassa attesi, l’impresa dovrà:
- Considerare la sua capacità di affrontare e superare gli effetti causati dal Covid nel breve e nel medio/lungo periodo.
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Stimare in modo attendibile il periodo di ritorno a una situazione normale, considerando anche la situazione del settore di appartenenza, le attività messe in atto dall’impresa per fronteggiare la pandemia e le disposizioni governative introdotte a sostegno delle imprese.
Nella determinazione del fair value invece, è opportuno stare attenti a non considerare, tra le operazioni osservabili sul mercato di riferimento, quelle in cui vi è la necessità di dismettere velocemente gli assets; in questo caso infatti il relativo fair value non sarebbe attendibile.
Si presentano infine dei casi in cui vi è addirittura l’impossibilità di determinare il fair value; sono i casi in cui il mercato osservabile è caratterizzato da illiquidità e quindi da assenza di operazioni osservabili.
Quanto sopra indicato è fattibile per le così dette immobilizzazioni tangibles; più difficile è invece la questione per alcune immobilizzazioni intangibles, come avviamento e oneri pluriennali. In questo caso l’unica soluzione applicabile consiste nel dimostrare che i flussi di cassa attesi permettono di recuperare il valore delle immobilizzazioni immateriali nel tempo (resta tuttavia l’intrinseco problema di ricerca del corretto tasso di attualizzazione dei flussi).
Rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni
Completamente opposta rispetto alla problematica di valutazione sopra esposta, è la possibilità di attuare la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni.
Con la Legge di bilancio 2020 prima e con il Decreto Agosto (DL 104/2020, art.110) poi, è stata introdotta infatti la possibilità, per le imprese che applicano i principi contabili nazionali, di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni risultanti dal bilancio in corso al 31/12/2019. L’obiettivo è stato quello di favorire la patrimonializzazione di quelle imprese che presentano dei plusvalori latenti, non espressi nei valori contabili. Lo scopo è quindi stato anche quello di effettuare un riallineamento della rappresentazione contabile dei beni, ai valori effettivi.
Con la Legge di Bilancio 2021 (L.178/2020, comma 83), tale possibilità è stata estesa anche all’avviamento e alle altre immobilizzazioni immateriali (prima invece la rivalutazione era possibile solo per marchi, licenze o brevetti).
Le caratteristiche della rivalutazione:
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Possono essere rivalutati anche i singoli beni e quindi non necessariamente l’intera categoria omogenea.
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Può essere solo una rivalutazione civilistica e non anche fiscale. Nel caso tuttavia in cui si voglia farla valere anche fiscalmente, l’impresa dovrà versare un’imposta sostitutiva pari al 3%.
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È possibile affrancare, in tutto o in parte, il saldo attivo della rivalutazione, che confluisce in una riserva di rivalutazione indisponibile, tramite versamento di un’imposta sostitutiva del 10%. In assenza di affrancamento la riserva verrà tassata solo in caso di una sua distribuzione ai soci.
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Dovrà essere data specifica informativa della rivalutazione nella Nota Integrativa, riportando anche le modalità adottate per attuarla.
Effettuare la rivalutazione dei beni d’impresa deve essere comunque una scelta ponderata. Si devono infatti non solo rispettare i requisiti formali, come dimostrare i valori dei beni d’impresa tramite una perizia ad esempio, considerata uno dei parametri di maggior attendibilità, ma anche prestare particolare attenzione alle modalità di valutazione adottate dagli amministratori nella redazione del bilancio. Un’ impresa che ha avuto pensanti ripercussioni a causa del Covid o che ha scarsa capitalizzazione infatti, difficilmente potrà sostenere validamente una rivalutazione dei beni aziendali.
Nei prossimi approfondimenti affronteremo le problematiche di valutazione legate alle poste dell’attivo circolante, come crediti e rimanenze.
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